LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO Ha emesso la seguente ordinanza sui ricorsi proposti da Marforio Mario, Marforio Gianpiero e Marforio Giuseppe, tutti residenti in Lesa avverso ufficio imposte dirette di Arona. Marforio Mario, Marforio Gianpiero e Marforio Giuseppe, tutti residenti in Lesa, i primi due in via Cartiera n. 23 e il terzo in via Cadorna n. 4, in data 13 febbraio 1991 proponevano ricorso contro gli avvisi di accertamento con i quali l'Ufficio imposte dirette di Arona aveva elevato, ai fini Irpef 1985, il reddito complessivo da L. 65.941.000 a L. 101.941.000 per Marforio Mario, da L. 18.400.000 a L. 19.600.000 per Marforio Gianpiero e da L. 16.424.000 a L. 17.624.000 per Marforio Giuseppe. I ricorrenti chiedevano l'annullamento degli impugnati avvisi di accertamento sostenendo di non aver percepito i maggiori redditi accertati dall'ufficio (nella specie redditi di capitale, dividendi di una societa' a responsabilita' limitata). L'ufficio imposte dirette di Arona resisteva ai ricorsi con deduzioni scritte. In data 4 ottobre 1991 veniva fissata la discussione dei ricorsi per l'udienza dell'8 gennaio 1992. In data 3 gennaio 1992 gli anzidetti ricorrenti, con tre diverse istanze, pervenute in segreteria in data 8 gennaio 1992, chiedevano la sospensione del presente giudizio dichiarando di volersi avvalere delle disposizioni di cui all'art. 34 della legge n. 413, del 30 dicembre 1991. I ricorrenti hanno chiesto la sospensione del presente giudizio dichiarando di volersi avvalere delle disposizioni di cui all'art. 34 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, la quale, tra l'altro, prevede un ennesimo condono fiscale, eufemisticamente chiamato "definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti". Questo collegio, pero', ritiene di non poter accogliere, almeno per i motivi addotti, la richiesta dei ricorrenti e di dover sottoporre al giudizio della Corte costituzionale la legittimita' dell'intero art. 34 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, e in particolare della disposizione di cui al quinto comma del citato art. 34, nella parte in cui prevede che "i giudizi per i quali sia stata fissata l'udienza di discussione nel suddetto periodo (e cioe' entro il 30 aprile 1992) sono sospesi nell'udienza medesima a richiesta del contribuente che dichiari di volersi avvalere delle disposizioni del presente articolo". La norma sopra citata, solo formalmente, e' una norma processuale, in realta' e' una norma strumentale, finalizzata all'applicazione del "condono" per contribuenti e/o evasori fiscali e, quindi, la sua legittimita' o illegittimita' costituzionale puo' dipendere, a parere di questo collegio, anche dalla legittimita' o illegittimita' costituzionale delle norme "per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti", di cui alla legge 30 dicembre 1991, n. 413, alle quali e' strettamente collegata e nella fattispecie in esame dalla legittimita' o dall'illegittimita' dell'anzidetto art. 34 nella parte in cui detto articolo prevede il "condono" per i contribuenti ai quali e' gia' stato notificato avviso di accertamento. I condoni fiscali sono un premio per gli evasori e una beffa per i contribuenti onesti e, quel che e' peggio, un "invito" ad ulteriori evasioni con conseguente danno per lo Stato e per la credibilita' delle sue istituzioni. Sono provvedimenti che creano un'ingiustificata disparita' di trattamento tra i cittadini e arrecano danno agli onesti e a coloro che non possono evadere le imposte perche', ovviamente, il carico tributario che gli evasori non sopportano ricade, in tempi brevi, sugli altri soggetti, mentri tutti (tutti) dovrebbero concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva. Inoltre, sono disposizioni con le quali lo Stato (e per esso gli uffici tributari) rinunziano, almeno di fatto, a perseguire o, quanto meno, riconoscono di non aver saputo o potuto perseguire "il buon andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione" e appaiono deboli con i forti e forti con i deboli. I condoni anzidetti, a differenza dei provvedimenti di clemenza in materia penali (amnistia, indulto e grazia), non hanno alcun fondamento nella Costituzione, della quale, a parere di questo collegio, violano la lettera e lo spirito e, in particolare, l'art. 3, primo comma, (principio di uguaglianza e di razionalita'), l'art. 53, primo comma, (princio del buon andamento e dell'imparzialita' dell'amministrazione). Contro i condoni molto, e molto autorevolmente, e' stato detto e scritto e, pertanto, questo collegio, anche in base al disposto dell'art. 24 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), il quale prevede che l'ordinanza con la quale viene respinta e non anche l'ordinanza con la quale viene sollevata un'eccezione di illegittimita' costituzionale "deve essere adeguatamente motivata", si astiene da ulteriori argomenti, ritenendo peraltro sufficienti quelle gia' esposte, e auspica che il giudice delle leggi voglia pronunciarsi sui "condoni tributari" per "impedire o sconsigliare" ulteriori, non improbabili, provvedimenti di clemenza fiscale oppure "per benedirli" con una pronuncia di "manifesta infondatezza" o di "inammissibilita'". La presente questione di legittimita' costituzionale, oltre ad essere "non manifestamente infondata", e' anche "rilevante" perche' dalla sua soluzione dipende la prosecuzione o la sospensione del presente giudizio e la definizione "agevolata" dei rapporti tributari, oggetto dei ricorsi proposti da Marforio Mario, Gianpiero e Giuseppe. Questo collegio non ignara che l'incertezza sulla legittimita' costituzionale delle citate disposizioni della legge 30 dicembre 1991, n. 413, potrebbe condizionare, almeno fino alla pronuncia della Corte costituzionale, le prossime scelte di molti contribuenti e/o evasori fiscali, ma ritiene che su una questione tanto importante, sulla quale vi e' stato un duro scontro nel parlamento e nel Paese, l'intervento del supremo giudice delle leggi possa essere illuminante e chiarificatore.